Matrimonio … all'etiope
Diario di un volontario italiano in Etiopia
Questa è la storia di Paolo, un ragazzo di 32 anni che ha deciso di venire in Etiopia per vivere l’esperienza dei campi estivi di servizio promossi dall’organizzazione per cui lavoro. Credo di aver già più volte fatto menzione della bellezza delle ragazze etiopi: Paolo ne sa qualcosa, perché partito per una esperienza di tre settimane, si è ritrovato legato a questo paese a tempo indeterminato. La colpevole: Shitaye.
Si sono conosciuti ormai quasi due anni fa a Debre Markos. Lui campista, lei cuoca del centro. Due anni dopo, dopo lunghe procedure burocratiche hanno finalmente potuto celebrare il loro matrimonio a Wolisso, una località a circa 100 km da Addis Abeba, dove ormai vivono stabilmente.
Paolo è stata una delle prime persone che ho conosciuto appena giunto ad Addis: era una dei tanti che, soprattutto nel primo periodo del mio soggiorno, frequentava la mia casetta. L’evolversi del loro rapporto li ha portati lontani da qua, ma ci si sente e ci si vede appena possibile.
Domenica scorsa Paolo ha sposato Shitaye. Difficile nascondere le strane sensazioni che ho vissuto quella domenica. Potete ben immaginare quale sia stato lo sconvolgimento emotivo di questa esperienza, in una terra con costumi e tradizioni completamente diverse dalle nostre. Paolo ha voluto raccontarmi un po’ tutto quello che è successo prima e dopo la cerimonia. Andiamo con ordine.
Il matrimonio in Etiopia è un evento che dura tre giorni consecutivi, ricchi di momenti particolari e di un continuo succedersi di colpi di scena, almeno per chi non vi è abituato. Al matrimonio di Paolo è senz’altro mancata un’usanza che è molto importante per l’organizzazione del matrimonio: secondo la tradizione infatti, la data delle nozze non viene decisa dagli sposi ma dagli amici anziani della sposa e dello sposo. Il problema è stata ovviamente la distanza! I due sposini hanno affittato i loro abiti (per ovvi motivi di essenzialità) ma hanno seguito la tradizione di far incontrare i rispettivi testimoni per la preparazione dei rispettivi vestiti. L’incontro serve a far sì che, tanto i testimoni della sposa, quanto i testimoni dello sposo, preparino gli abiti seguendo una certa linea quanto meno nella scelta della stoffa e delle fantasie decorative. Altro preparativo rituale che è stato rispettato è quello dell’acquisto e dell’ingrassamento del toro e della pecora, da consumare rispettivamente il giorno del matrimonio e il lunedì successivo alle nozze.
Il giorno del matrimonio i due sposi si sono incontrati sugli scalini della chiesa. La cerimonia (in rito cattolico) è stata abbastanza corta, considerati gli standard locali, ed è stata caratterizzata da un misto di canti in italiano e di canti in amarico, accompagnati dal suono dei tamburi. Il bacio è stato indubbiamente un momento molto atteso, visto che il pudore etiope impone alla coppia di non sfiorarsi prima del fatidico sì. Al rinfresco il gran caldo e le lunghissime code di invitati che attendevano la propria razione di cibo sono stati protagonisti.
Ora di sera gli sposini era già in cerca dell’auto con cui raggiungere il giorno seguente Wongi, città natale di Shitaye, sempre accompagnati dai rispettivi testimoni. L’ingresso dell’abitazione è stato coperto da un tendone per ospitare i partecipanti alla festa. Gli sposi si sono presentati al cospetto della madre della sposa con abiti tradizionali coperti da un manto di velluto nero. All’interno del tendone era disposto un divano rialzato, su cui gli sposi si sarebbero in un secondo momento accomodati davanti al folto pubblico di amici e parenti della sposa.
L’ingresso è stato accolto da canti ritmati dal tradizionale suono prodotto dalla lingua che sbatte contro il palato. La prima fila era occupata dai parenti più stretti della sposa. A questo punto si è consumato uno dei riti più tipici: lo sposo si è dovuto accovacciare per terra e baciare le ginocchia della madre, dei fratelli e delle sorelle della sposa. Concluso il rito del bacio gli sposi si sono accomodati sul divano e hanno atteso il momento del discorso dello sposo e dalla consegna dei regali, introdotti da una sorta di cerimoniere.
Grande tenerezza quando una studentessa, invitata dalla sposa, ha portato in dono un singolo piatto. La sua condizione non le ha permesso di acquistare nulla di più. Un chiaro segnale della grande umiltà, ma anche della grande dignità, che caratterizza questa gente. Il tutto è stato seguito dal pranzo e dalla rituale passeggiata degli sposi seguiti da parenti ed amici. Il travaglio di Paolo è però continuato fino a sera: l’uccisione della pecora (rigorosamente maschio) che verrà consumata insieme ad un duffo dabo (una grande pagnotta di pane insipido) e alla cassetta di soft drink che lo sposo avrebbe dovuto portare, ma che si è dimenticato! Il momento dell’uccisione della capra è il preludio di uno dei riti più tipici: il salto del sangue della pecora, in segno di buon auspicio. Con la consumazione del pasto si conclude la giornata sicuramente più intensa e stressante per lo sposo.
Martedì è il giorno dedicato al saluto alla madre. Lei regala, secondo tradizione, il cesto tradizionale che serve a contenere la njera. A questo punto si dovrebbe consumare un altro rito molto interessante. La madre dello sposo sceglie il nuovo nome che diventerà il nome della sposa per il resto della sua vita. Unico dettaglio non trascurabile era che la madre dello sposo era in Italia. Ma il destino ha voluto che proprio il quel momento telefonasse al figlio: da quel martedì Shitaye è diventata Anna. Il nome è stato cambiato ma la cerimonia non si è potuta integralmente concludere dal momento che le madri non hanno potuto condividere il duffo dabo, appositamente portato.
Paolo non ha esitato a definire il salto del sangue della pecora, mano nella mano, come il momento più emozionante dell’intera cerimonia, mentre Shitaye ha ricordato quale significato abbia avuto per lei la telefonata della madre dello sposo per il cambio del nome. A proposito, il nuovo nome sembra proprio piacerle tanto…
Sabato 20 Maggio 2006
Matteo Astuti